CI SIAMO !!! SI PARTE CON IL 1° CORSO UMBRO SUL FORAGING
Che cosa è il “FORAGING”
Fare la maglia con ferri da calza e gomitoli oggi si dice“knitting”, fare il pane in casa “baking” , andare per campi e boschi alla ricerca di erbe spontanee, frutti e bacche selvatiche, si dice “foraging” . Si potrebbe disquisire sull’uso diffuso di inutili inglesismi, ma il tema è un altro.
Andremo per campi e boschi alla ricerca di cibo naturale, spontaneo (e gratis), dai sapori nuovi e inaspettati.
Un ritorno al passato quando le nonne, in campagna andavano per rughetta, cicoria selvatica e tarassaco, poi per decenni si è derubricato tutto quel ben di Dio, semplicemente ad “erbacce”, dimenticando insieme alla conoscenza della natura che ci circonda, sapori e consistenze.
Oggi le figlie dei supermercati, del “tutto-disponibile-ovunque” e delle fragole al sapor di patate fanno inversione di rotta e con l’appellativo trendy-anglofono di“foraging” si rimettono a battere il sottobosco. Tutto merito della nuova cucina nordica (quella del Noma di Copenhagen, dei suoi licheni, bacche e cortecce eletti ad alta cucina) ma soprattutto dell’effetto della crisi economica e di una ricerca di salute.
Gli chef scandinavi hanno scosso l’universo della gastronomia e, se là, si perlustrano le spiagge nebbiose dei mari del Nord, qui ritornano nel piatto raperonzoli e caccialepri, fiori colorati di calendula e borragine, fiori di acacia e sambuco profumatissimi, confetture di corniolo, mirabolano e more selvatiche.
C’è da scoprire tutta una nuova gamma di sensazioni organolettiche e nuovi ingredienti, una nuova frontiera di sperimentazione. Sta crescendo un interesse fra le persone comuni.
Foraging in nome della salute
L’esigenza più viva è quella di rendere più salutare il proprio regime alimentare, oggi si ritiene che cibarsi di cibo selvatico sia più sano, anche sull’onda del primitivismo modaiolo e della cucina nordica , altri entrano nel profondo e sono interessanti dal punto di vista antropologico e culturale. La componente psicologica è determinante e l’approccio attivo al procacciarsi il cibo interessa molto, una frontiera del do-it-yourself che dallo scaffale del supermercato porta ai “farmers market” e poi fino al bosco.
Una diversa sussistenza
Le nonne lo facevano e basta, per necessità, perché non si sprecava nulla, tanto meno qualcosa che cresceva gratis e senza sforzo di vanga e rastrello. Raccogliere è nella nostra natura e fino all’avvento dell’industrializzazione a fine ottocento il pasto quotidiano era tra il 70 e l’80% selvatico, nelle campagne, o perché le cose coltivate venivano vendute e ci si alimentava con ciò che non aveva valore, ad esempio in Umbria con cicorie, mastrici, castagne, frutti e bacche selvatiche.
Fare “foraging” è molto cool, anche se il termine italiano è altrettanto affascinante. Si dice “alimurgia”, acronimo di “alimentia”, “urgentia”, che significa letteralmente scienza che studia l’utilizzo del cibo selvatico in cucina soprattutto nei momenti di carestia e povertà. Raccogliere erbe e bacche spontanee era infatti parte di una economia di sussistenza necessariamente bucolica, e oggi forse questo ritorno ha più che mai anche la stessa natura post-crisi economica. Decrescere era considerato un po’ freak, oggi è più una nuova coscienza dell’origine della materia prima, sostenibilità, biodiversità.
Mangiare dagli alberi
Allontanati anche dall’agricoltura dei prodotti più comuni, l’idea di poter mangiare gli alberi stupisce molto: gli alberi grandi, come il tiglio, la betulla, l’abete rosso, il faggio. Ne siamo circondati, hanno un sapore ma nessuno si immagina che la corteccia interna, le foglie, la linfa, le resine siano non solo commestibili: sono buone!.
I fiori che mangiamo
I fiori vanno di gran moda, sono arrivate fin nelle vaschette di insalata già lavata del supermercato e nei ristoranti sono tutti a mangiarli, ma quello che viene mangiato nei ristoranti è coltivato, ha ben poco di selvatico. I fiori fanno colore ma non hanno alcun apporto nutrizionale, a volte contengono qualche elemento fitoterapico. Il gusto di un fiore è inconsistente, hanno oli volatili così delicati che solo lì solo per bellezza, tranne in qualche caso.
Fare una prova: le margheritine e i boccioli di tarassaco.
La cosa interessante è che i fiori eduli, davvero di gran moda, arricchiscono assai poco una ricetta, mentre ci sono fiori spontanei e molto comuni con cui si può cucinare davvero. I fiori di acacia e di sambuco si usano da sempre, ma anche le onnipresenti margheritine (Bellis perennis), danno grandi soddisfazioni, e sono un bel modo per approcciarsi al foraging. La pratolina intera, i fiori e i bocciolini di Tarassaco, hanno consistenza e sapore. Vanno raccolti quando sono ancora in bocciolo e si possono usare in una frittatina, si mettono sotto sale o sott’olio, come dei capperi. Hanno un sapore sorprendente.
Il corso per cominciare
Foraging non significa però andar per boschi a raccogliere amanite phalloides e bacche velenose ma nemmeno fermarsi nelle aiuole di città a raccogliere i fiorellini. Quelle sono davvero tossiche, impregnate di smog, tanto quanto gli orti sui balconi nelle città come Roma o Milano. Bisogna scegliere territori incontaminati e farsi insegnare da esperti, o frequentare corsi di Foraging sia per adulti che bambini per evitare sgradite e pericolose sorprese.
L’Accademia Erbe Campagnole Spontanee
Organizza
il primo corso umbro di Foraging 2017:
Nel campo Note: potete indicare le vostre preferenze sia per corsi di Foraging che sulle erbe spontanee
tel. 3936622189 (Luciano Loschi)
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