IL CIBO SELVATICO A TAVOLA
IL CIBO SELVATICO A TAVOLA
Sono passati 14 anni dall’ultima rivoluzione del mondo della gastronomia. Era la fine del 2003 quando gli chef Claus Mayer e Renè Retzepi aprirono per la prima volta le porte del Noma di Copenhagen (per tre volte ristorante migliore del mondo).
Fu una novità che gli chef della Scandinavia e dei Paesi Nordici, usando le proprie specificità culinarie territoriali, abbiano portato le loro tradizioni gastronomiche, ai più alti livelli della cucina internazionale. Ingredienti locali, purezza, semplicità, stagionalità dei prodotti del territorio, ricomparsa di ingredienti poveri e selvatici, come alghe, licheni, carne di animali selvatici, bacche, cortecce e foglie di piante spontanee, furono le armi vincenti del loro successo, coniugate ad una apertura ad esperienze internazionali. Oggi sembra scontato, ma è anche grazie a loro se si ricominciano ad usare erbe spontanee di campo, fiori edibili, frutti e bacche selvatici, foglie, cortecce e linfe di piante, funghi, tartufi.
La ristorazione italiana, dovrebbe prendere ad esempio il successo del Noma, siamo il paese che ha più biodiversità in Europa e con il nostro clima mediterraneo, i nostri prodotti naturali e selvatici sono di grandissima qualità sia organolettica che nutrizionale.
Inoltre oggi assistiamo ad un fenomeno in fortissima espansione: le figlie dei supermercati e delle fragole al sapore di patata, stanno cambiando rotta e dopo essere passate per i mercati del contadino, stanno andando a calpestare i boschi, alla ricerca di cibo selvatico: erbe e fiori spontanei, funghi, tartufi, bacche e frutti selvatici.
La sostenibilità alimentare va oltre il bio e il chilometro zero, la geografia può diventare il fondamento della gastronomia; l’ambiente un territorio commestibile da esplorare; il bosco un luogo da mangiare.
Sta partendo in Umbria, un progetto che vede la partecipazione di un team di specialisti di scienze alimurgiche (che studiano come cibarsi di cibo selvatico), professori di scienza della nutrizione, biologi, etnobotanici, fitoterapisti, antropologi, micologi, chef e forager (coloro che vanno per boschi e campi a raccogliere prodotti selvatici). Il progetto ideato e proposto dall’Accademia delle Erbe Campagnole Spontanee, dal Gruppo Micologico Naturalistico Folignate, da Umbria Gourmet e dal prof. Luciano Loschi fondatore e presidente delle due associazioni, sta raccogliendo consensi da parte di esperti del settore gastronomico e del mondo scientifico. Il progetto prevede inizialmente lo studio delle potenzialità nutrizionali, chimiche e organolettiche delle materie prime spontanee della regione Umbria e regioni limitrofe. Le fasi successive prevedono uno studio antropologico, sull’uso di determinati prodotti selvatici per riscoprire le antiche tecniche gastronomiche legate ai territori ed infine la ricerca e sperimentazione di piatti preparati con i prodotti selezionati.
Perché è importante il cibo selvatico.
Le nuove generazioni stanno perdendo il rapporto con l’origine della materia con cui ci nutriamo. L’uomo sta tralasciando sempre più le caratteristiche più importanti del cibo, che sono quelle salutari e nutritive. Oggi si scelgono frutti e vegetali dando priorità al loro aspetto estetico. Il cibo selvatico è importante perché rappresenta un prodotto con principi attivi, proprietà nutrizionali, sapori e consistenze più alti rispetto a quelli del cibo coltivato.
Ad esempio una carota coltivata ha un gusto leggero, quella selvatica invece è più coriacea e con un gusto intenso simile al suo olio essenziale. Il cibo selvatico inoltre cresce in un habitat, dove trova le migliori condizioni per crescere e difendersi dagli attacchi che gli vengono dall’esterno. Le piante coltivate in campi arati e trattati chimicamente sono anche nocive per il nostro organismo. Altro aspetto positivo nella ricerca di cibo selvatico è quello di poterci avvicinare agli ecosistemi e guardare l’habitat che ci circonda con occhio meno distratto. Quindi, il cibo selvatico ci porta in sintonia con la materia con cui ci nutriamo e con l’ambiente. Il cibo inoltre è disponibile gratuitamente ed ha un grande valore nutrizionale e organolettico.
La raccolta del cibo selvatico va oltre il chilometro zero e il bio, gli alimenti andranno raccolti in ambienti non antropizzati, dove non c’è l’impatto con l’uomo e generalmente si utilizzano freschi.
Necessita inizialmente una diffusione della cultura naturalistica prima di raccogliere il cibo selvatico, perché esso ha dei principi attivi fortissimi che da una parte ci aiutano a stare bene e a curarci, ma a volte sono così forti che potrebbero arrecare anche danni al nostro organismo, pertanto e necessario conoscerne i pro e i contro per poterli governare. Ad esempio la piantaggine (Plantago lanceolata) è una pianta a foglia verde che si trova in qualunque prato e a volte infestante, è buonissima, è ricca di mucillagini, vitamine e minerali. Contiene la rara vitamina K, che fa bene, ma può essere dannosa per chi soffre di coagulazione del sangue o la borragine (Borago officinalis), diuretica ed emolliente, usata sia cruda in insalate miste e cotta per ripieni di pasta, se ne sconsiglia l’uso in grandi quantità perché in alcune fasi vitali contiene composti pirrolizidinici, con presunta attività epatotossica.